Un esperimento di incontro e condivisione. Nel cuore del centro storico di Milano, a due passi dal Castello Sforzesco. Dentro le mura della chiesa di
Santa Maria del Carmine convivono due parrocchie e tre diverse comunità. Una parrocchia “tradizionale”, quella di Santa Maria del Carmine, che si occupa dei fedeli italiani, e una, quella San Carlo, che seguendo non il consueto criterio territoriale ma quello linguistico è diventata un punto di riferimento per i fedeli anglofoni (provenienti soprattutto da Stati Uniti, Australia e Regno Unito) e filippini della città. Un gregge di anime composito affidato a quattro sacerdoti, tre italiani e un portoghese, che per primi hanno dovuto imparare a dialogare e collaborare in maniera proficua, fondendo le loro diverse sensibilità.
Progetto. Un’organizzazione unica a Milano, che quest’anno festeggia il ventennale e ha come obiettivo la “comunione delle diversità riconciliate”, come spiega padre Carlos Miguel Dias Caetano, vicario portoghese della parrocchia San Carlo: «Il nostro obiettivo non è creare un’unica grande comunità che annulli le differenze, ma dar vita a un percorso che porti le persone a incontrarsi e conoscersi, senza rinunciare alla propria identità». Un cammino fatto di piccoli passi, a partire dagli aspetti liturgici. Inizialmente le tre comunità seguivano due riti diversi (ambrosiano per gli italiani e romano per anglofoni e filippini), ma due anni fa, per consentire a tutti i fedeli di seguire lo stesso calendario, si è deciso di celebrare solo con il rito ambrosiano, per il quale è stata creata un’apposita struttura in lingua inglese che non esisteva. In occasione poi dei momenti più importanti, come la Pasqua o il Natale, le tre comunità si riuniscono per un’unica messa officiata in due lingue da più sacerdoti.
Vitalità. Anche al di fuori della chiesa vengono offerte opportunità di confronto, con gite, pranzi e serate “di formazione” nelle quali si raccontano le proprie esperienze e tradizioni: «Sono occasioni che aiutano le persone ad aprirsi – prosegue padre Caetano – superando la naturale diffidenza che si prova davanti al “diverso” e comprendendo che le differenze sono una ricchezza e non una minaccia». E i risultati non mancano anche perché l’arrivo della comunità filippina ha invertito una tendenza che stava portando alla progressiva diminuzione e all’invecchiamento dei fedeli: «La chiesa è più viva, e anche gli italiani ne sono stimolati. L’anno scorso, in occasione delle prime comunioni, guardavano tutti quei ragazzi filippini e dicevano “come sono belli i nostri bambini”. Non più semplicemente bambini stranieri. Ma i bambini del Carmine».
Modello. Padre Caetano, 30 anni e dal 1999 in Italia, è un migrante in mezzo ai migranti e vede nel modello del Carmine, nella “pastorale intercomunitaria”, la strada da seguire: «Sta già accadendo. Noi siamo i soli ad avere una struttura con la doppia parrocchia, ma in tutte le chiese che ospitano cappellanie per stranieri si stanno creando gli stessi fenomeni di confronto e condivisione. Perché puoi essere straniero al bar, in banca o per strada, ma in chiesa esiste un popolo solo. Quello di Cristo».
(FpSMedia)