La sera del 23 febbraio sono centinaia le persone radunate ai piedi del consolato libico a Milano, in via Baracchini. «Basta morti, basta sangue» gridano i manifestanti, spesso anche in arabo.
Molti stringono tra le mani fotogrammi delle immagini trasmesse oggi da Al Jazeera «dei nostri fratelli e dei nostri bambini» crivellati dai colpi d’artiglieria. «Siamo stati in silenzio per troppo tempo - dicono - ma dopo 42 anni di sopravvivenza, senza costituzione e senza libertà è ora di dire basta». Davanti al consolato ci sono anche moltissimi milanesi che si sono riversati in piazza per portare la loro solidarietà e ascoltare la comunità libica, presente in massa.
Il microfono passa di mano in mano e dalla bocca dei cittadini libici presenti escono quelle parole che stentano ad arrivare dagli ambienti istituzionali: genocidio, crimini contro l’umanità, massacro.
«Gheddafi è un uomo finito, è solo», gridano. La sua solitudine è accentuata dalle diserzioni dei suoi generali che «si sono rifiutati di bombardare le loro città e per questo molti di loro hanno pagato con la vita». La Libia brucia sotto le bombe e «
sono 5 giorni che non riesco a sentire la mia famiglia» dice un ragazzo, visibilmente preoccupato. Dopo di lui tocca ad una giovane ragazza ammonire tutti a far attenzione anche al lessico di quello che raccontano i media occidentali. “Parlano di guerra civile -dice- ma è un termine sbagliato per descrivere quello che sta succedendo in Libia perchè lì c’è un terrorista che sta massacrando il suo popolo usando dei mercenari stranieri”.
Ovviamente non poteva non arrivare una stoccata contro l’assordante silenzio che avvolge le reazioni delle istituzioni, quelle italiane in testa. Sostengono infatti che «i governi hanno paura di un’invasione di profughi e sopratutto di una crisi energetica che arresti la debole ripresa economica» e che quindi «
la comunità internazionale non sta facendo nulla di concreto per fermare il genocidio». Con rammarico si chiedono però come sia possibile «scaldarsi con il gas macchiato dal sangue di 10mila persone che lottano per la democrazia». Poi avvertono che «il popolo libico non si arrende: o vince o muore» e quindi ai governi converrebbe, economicamente parlando, iniziare ad appoggiarli. Lo stesso Gheddafi «ha minacciato di far saltare tutti i pozzi estrattivi del paese» ma anche davanti a queste minacce nessuno fa nulla. Numerose critiche vengono poi mosse all’ambigua posizione del governo italiano, sopratutto rivolte al premier Silvio Berlusconi e al Ministro degli Esteri, Franco Frattini, accusati di essere “come i portavoce di Gheddafi”.
Ma oggi è sopratutto l’emergenza sanitaria in Libia a preoccupare. «Servono sangue e medicine ma serve sopratutto fermare l’esportazione di armi fino alla fine della repressione».
Viene infine lanciato l’appello per una nuova manifestazione (sabato 26 alle 15 in piazza Fontana) per «far
pressioni sul governo italiano affinché faccia qualcosa». «Se Berlusconi ha un rapporto così stretto con Gheddafi -concludono- è il momento che lo usi per qualcosa di buono».
(
Marco Corso per Lombardianews)